
Credenze Limitanti
Quando la scarsità è emotiva, indossa maschere eleganti.
Diventa perfezionismo, diventa iperindipendenza, diventa la battuta pronta al momento giusto perché nessuno noti la mancanza.
Diventa la convinzione di essere troppo o troppo poco, di non avere spazio, che gli altri vengano prima.
Diventa l’idea incrinata che l’intimità sia un rischio: non posso fidarmi, se mi rilasso succede qualcosa di brutto, chiedere è debolezza.
E così, anche circondata da persone, l’anima cammina con un brivido nelle mani, come chi attraversa la notte senza cappotto.
C’è anche la scarsità di tempo e di voce.
Sussurra: è troppo tardi, non posso essere chi sono, i miei bisogni disturbano, la mia gioia è esagerata.
Trasforma il corpo in un foglio di calcolo, il desiderio in orario, il sogno in compito.
E quando arriva la gioia, un’ombra passa dietro: se sono felice, succede qualcosa di brutto.
Il riso torna in tasca, la luce nel cassetto.
Ma arriva un momento in cui qualcosa dentro di noi si stanca di sopravvivere.
Una fame più antica della paura si risveglia.
Non la fame di avere, ma di entrare.
Di appartenere alla propria pelle.
Di guardarsi allo specchio e riconoscere una casa.
È lì che la terapia si accende come una stanza con luce calda — non per cancellare la storia, ma per leggerla con occhi che sanno che tutto ciò che un giorno fu difesa voleva soltanto essere cura.
La terapia è il luogo dove queste frasi in grassetto possono finalmente essere lette ad alta voce, con tempo.
Dove non sono abbastanza incontra la domanda: “Abbastanza per chi?”.
Dove non c’è amore per me incontra la memoria dell’amore che ha sostenuto la tua stessa sopravvivenza fino a qui.
Dove devo meritare per essere amata riposa, anche solo per un istante, e sperimenta la possibilità di essere accolta senza prova.
È uno spazio di traduzione: dalla lingua della mancanza alla lingua della vita.
In questo incontro, non c’è fretta.
C’è presenza.
C’è una sedia che aspetta, un bicchiere d’acqua, un sospiro che arriva intero.
Ci sono storie che prendono corpo, lacrime che hanno senso, risate che non chiedono scusa.
C’è un pavimento che sostiene.
E, poco a poco, il clima dentro cambia stagione.
Le stesse strade, la stessa routine, ma un’altra temperatura.
Al posto del vecchio mantra — ciò che è bello non dura — si insinua qualcosa di più ampio: forse io durerò in ciò che è bello.
Se sei arrivato fin qui e qualcosa dentro di te ha detto “è proprio questo”, considera questo testo un invito.
Un primo gesto di cura per la parte che ha sempre creduto di non avere spazio.
Vieni con le tue versioni stanche e con le tue domande senza risposta.
Porta le frasi che ancora stringono, anche quelle che dicono non devo chiedere e non posso dipendere da nessuno.
C’è un posto preparato per te.
La terapia non promette scorciatoie; offre cammino.
E, nel cammino, la possibilità di raccontare di nuovo la tua storia finché la vita possa entrare in te — e tu possa entrare nella vita — senza bisogno di rimpicciolirti.
Quando vorrai, sarò qui.